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Non ti pago e anzi, ti chiedo dei soldi

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Parafraso il titolo di questo magnifico post del 2012 di Davide Calì che si intitola Non solo non è stato previsto un budget, ma ci devi anche dei soldiPoco importa che l’articolo abbia più di un anno: è più che mai attuale e dice sacrosante verità. Non è possibile riassumerlo: fa un elenco di situazioni che sono – purtroppo – pane quotidiano per chiunque lavori, specialmente nel settore editoriale e creativo, che vanno dal lavorare gratis in cambio di visibilità al pagare per lavorare.

Quando il deputato lo caccia via Sordi fa uno dei suoi monologhi, dicendo: ”Quindi lei minega il diritto di fare l’imprenditore, solo perché sono nato senza soldi? Allora un ragazzo con delle idee ma senza soldi non può fare l’imprenditore?”
La risposta è: “No, non può”.
I soldi servono. L’editore che non ha soldi faccia dell’altro.

Vi suona un campanello? Sì, è una delle giustificazioni delle case editrici a pagamento. E a un certo punto, nell’articolo si chiede “ma i libri pubblicati a pagamento sono veri libri?”. La risposta di Calì è no:

No, non lo sono. Gli editori che chiedono soldi di base non sono veri editori, non sono registrati all’albo degli editori, non appartengono ai circuiti dei veri editori e soprattutto non distribuiscono .
L’editore a pagamento semplicemente stampa le copie e ne mette una parte in casa vostra. Di quelle sarete voi a occuparvi della vendita.  Delle altre si occuperà lui. Salvo che le altre non esistono. Non le ha mai stampate. L’editore in questione metterà alcune copie strategiche nelle librerie principali della vostra città per farvi credere di averle distribuite, mentre invece ha solo supplicato i librai di tenergliele per qualche mese. Se non è un vero editore che cos’è? Diciamo che è uno che stampa libri.

E sottolinea anche:

Una cosa importante: non citate i libri pubblicati a pagamento nei vostri curriculum. Tutti sanno chi sono gli editori a pagamento e averci lavorato non fa curriculum.

Pagare per lavorare non fa bene a nessuno. Non fa bene a chi paga, non fa bene a chi vuole lavorare nel vero senso della parola, non fa bene al mercato, che si impoverisce sempre di più perché “mi chiedi di essere pagato? Chissenefrega, là fuori ci sono centinaia di persone che vogliono fare lo stesso lavoro gratis”.

Be’, caro collega che abbassi il valore del mio lavoro concedendo la tua prestazione a costo zero, convinto che un domani la cosa possa tornarti utile e, intanto, abiti nella tua cameretta di bambino a casa di papà, ti svelerò un segreto: se non sei pagato, non è lavoro. È volontariato, o masochismo. Se non ti fai pagare adesso, nessuno ti pagherà mai, perché il tuo valore verrà concepito per il prezzo a cui lo vendi: zero.

Questo viene dal post di Dania, alias Daniela Farnese, che nell’articolo inveisce sia contro i clienti che non pagano sia contro – appunto – i colleghi che svendono il proprio lavoro. E come si fa a darle torto?


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